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Radio Budrio è solo podcast

   

Le nuove proposte musicali

A cura di Marco Cavalli

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  1.  

    I protagonisti di questa settimana

     

    GIACOMO SCUDELLARI

    “Lo Stretto Necessario”
    (Brutture Moderne / Audioglobe)

    Una volta un giornalista chiese a Bruno Lauzi perché scrivesse solo canzoni malinconiche. La risposta fu “Perché quando sto bene esco”. Giacomo Scudellari invece è uno che quando sta bene di canzoni ne scrive e pure parecchio belle. Perché ama celebrare, come dice lui, “il gusto onesto della Gioia con la g maiuscola” ed è proprio questo che fa ne “Lo Stretto Necessario”, il suo debutto da cantautore, prima opera sulla lunga distanza dopo l'ep “Santi o non Santi”, in uscita per Brutture Moderne con la produzione di Francesco Giampaoli (Sacri Cuori, Classica Orchestra Afrobeat).

    Un disco di canzoni positive e vitali, senza tonalità minori, capaci di scavare in profondità non rimanendo scioccamente in superficie. Ma anche un lavoro che “non vuole scrivere ancora una volta il manuale del cantautore depresso o incompreso perché magari è stato lasciato dalla fidanzata, o perché è lui che l’ha lasciata e si è pentito, o perché non la trova. Chi cerca questo non troverà pane per i suoi denti.”

    Non troverà del pane, è vero, ma troverà tanti bicchieri di sambuca – rigorosamente con “la mosca” dentro – e un sapore dolciastro, leggermente alcolico, da bevuta in allegria, a ribadire la necessità di “non commettere il crimine di accontentarsi, di sparare i propri colpi per terra, di rinchiudersi in un rassicurante acquario.” Quello di Giacomo è un cantautorato classico, che guarda devotamente alla tradizione dei Settanta ma la sposta verso altri lidi musicali, il più delle volte sorprendenti. Ci sono chitarre acustiche (Marco Bovi), bassi, batterie (Diego Sapignoli) e accanto piano e tastiere (Nicola Peruch), moog, trombe, tromboni e flicorni (Enrico Farnedi), mandole, e-bow (Stefano Pilia), banjolele, duduk e launeddas (Christian Ravaglioli). Le tracce si muovono fra percussioni africane, cori sghembi (Caterina Arniani), batterie metalliche alla Clash, imperiosi fiati morriconiani, mitraglie country, fanfare calypso come omaggi ad Harry Belafonte e paesaggi lunari. Il tutto illuminato a dovere dalla lanterna di Francesco Giampaoli, timoniere del disco, nonché guida di questa folle passeggiata oceanica.

    “Ho pensato che il modo migliore per dare forma musicale ad un entità così astratta e rarefatta come la gioia fosse quella di riempirla di concretezza, come se ogni canzone fosse un idra con cento teste da colorare. E in queste cento teste rifluisce di tutto, dai nativi d’America, alle balene, ai partigiani, e, soprattutto alle notti di sambuca.” Ed è proprio il “Cantico della sambuca” a fare da manifesto di vita all'intero disco, un manifesto “di quelli che si cantano al salpare del sole”, prima di pensare che il modo migliore per morire è in una taverna (“Morirò in una taverna”) o che magari quando un amore finisce può finire anche l'amore in assoluto (“Un mese in Provenza”). Succede, come succedono tante altre cose nella vita di ciascuno. Ma l'importante è saperci fare sopra una bevuta come si deve, anche quando in una notte blu elettrico dobbiamo diventare come quei pesci luminescenti nelle profondità dell'abisso per avere a che fare con “Lo stretto necessario” ma senza mai prendersi troppo sul serio.

    “Penso che un imperativo morale di chi fa un’attività 'culturale' o pseudo tale, sia di non prendersi troppo sul serio. E’ una cosa che mi ha insegnato, alla sua maniera, Marino Severini dei Gang (lo considero a tutti gli effetti il padre spirituale del disco). Un giorno mi trovavo a pranzo con lui, per parlare del disco e del mestiere di musicista. Gli faccio:'Sì vabbè Marino, voi della Gang siete dei grandi musicisti, avete fatto scuola'; e lui “ma che cazzo stai a dì Scudellari, Mozart e Beethoven erano dei grandi musicisti, noialtri siamo ar massimo dei casinisti!'”.  

    IN ONDA:

    Martedì ore 21.30
    Giovedì ore 16,30
    Sabato ore 21.30